L’italiano, una lingua inestimabile”

Scritto da il 26. Ottobre 2018

Qui e ora

di MIRIAM CANDURRO

Ho sempre immaginato la lingua italiana come un fiume. Saranno reminiscenze manzoniane, probabilmente. Ma forse è anche l’idea che l’italiano durante gli anni di studio “matto e disperatissimo” mi ha sempre dato.

Una lingua trasparente, che accarezza le parole come l’acqua fa con i ciottoli, ammorbidendoli e arrotondandone le spigolature. Sussurrando e scrosciando, svicolando tra le rapide e scendendo cheta a valle. L’italiano si adatta ad ogni bocca che lo pronuncia, come l’acqua ai suoi recipienti, facendosi elegante o quotidiana, rurale o altolocata. Con la sua foce a delta l’italiano diventa madre di vere e proprie lingue minori, i dialetti. Nei miei pensieri, l’italiano è la lingua dei papi.

 

La lingua dei padri emigrati. La lingua dei panni in Arno. La lingua dei poeti. La lingua di “sao ko kelle terre”. La lingua delle coniugazioni. La lingua dei congiuntivi. La lingua difficile. La lingua dei doppiatori. La lingua del petaloso. La lingua della Crusca. La lingua dell’universale “bravo”. La lingua dell’opera lirica. La lingua di Garibaldi. La lingua dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso. La lingua del cinema. La lingua degli sposi promessi. La lingua delle vocali aperte o chiuse. Dei suoni dolci e duri. La lingua delle onomatopeiche.

La lingua del no. La lingua dell’inascoltato “egli cosse”, ma purtroppo anche quella del troppo sentito “se avrei”.
La lingua del neoconiato “swippappare” (citazione ad uso esclusivo di quelli nati dopo il 1990.
Una lingua viva e preziosa, da portare con fierezza nel mondo, da pronunciare a testa alta. Da contaminare e da purificare. Da festeggiare, ogni anno, e da tramandare ai figli come primo bene inestimabile.

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